I punti chiaveAscolta la versione audio dell’articolo3′ di letturaIl 23 aprile terminerà la proroga dei contratti dell’Agenzia per l’Italia digitale con quasi tutti gli identity provider, i fornitori privati di Spid. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’Innovazione tecnologica, Alessio Butti (Fdi), sta per inviare in queste ore la convocazione agli undici gestori per fare il punto della situazione e arrivare al rinnovo. Ma il progetto è più ampio.L’obiettivo di breve termine: rinnovare le convenzioniGli obiettivi del confronto sono due. Quello di breve termine è uno: trovare una soluzione di compromesso con i fornitori di identità digitale (TeamSystem, Tim, SpidItalia, Sielte, Poste, Namirial, Lepida, Intesa, InfoCert, Aruba ed Etna) per continuare a erogare Spid. Perché, nonostante abbiano fatto molto discutere a dicembre le parole di Butti sulla volontà di «spegnere» Spid, dall’Innovazione assicurano che non c’è alcuna volontà di abbandonare, almeno non nell’immediato, un sistema che ha funzionato: oggi sono 34,2 milioni le identità Spid erogate e 12.674 le amministrazioni attive. Le prime riunioni all’Agid, il 13 e il 20 febbraio, non sono state risolutive e hanno rilevato le distanze in campo. Il passaggio “politico” servirà proprio a provare a smussare gli spigoli.Loading…Il nodo dei costi e dei contributi pubbliciCon i gestori (a rivelare la proroga delle concessioni e il braccio di ferro successivo è stato Wired) c’è un nodo economico da sciogliere, perché le società non ritengono più il contributo dello Stato sufficiente a coprire i costi, anche in base all’esplosione dei volumi (nel 2022 le identità Spid sono cresciute di 6 milioni e gli accessi sono saliti a oltre un miliardo) e rilanciano, chiedendo 50 milioni da ripartire. Le istanze sono state messe nero su bianco in una lettera di AssoCertificatori, che riunisce la maggior parte dei fornitori, al capo della segreteria tecnica di Butti. La disponibilità del governo a trattare per raggiungere un accordo su una cifra intermedia c’è.L’obiettivo a medio-lungo termine: un’unica identità digitaleMa è il futuro l’incognita maggiore. Nelle intenzioni dell’esecutivo (si veda Il Sole 24 Ore del 21 dicembre scorso) c’è infatti la volontà di portare avanti una «valutazione concordata con tutti gli stakeholder», istituzionali e non, sulla razionalizzazione delle identità digitali, con l’obiettivo di «verificare la fattibilità a lungo termine di un’unica identità digitale, nazionale e gestita dallo Stato». È l’idea, cara al partito della premier Giorgia Meloni, di realizzare una «transizione negoziata» che al termine del percorso faccia della Carta d’identità elettronica – un vero documento d’identità non dematerializzato e rilasciato dal ministero dell’Interno, dunque più sicuro, dotato di un microchip che memorizza i dati personali e biometrici del titolare – il solo strumento di accesso ai servizi online della Pubblica amministrazione.Il digital identity wallet europeoIl sentiero è stretto e irto di ostacoli, soprattutto perché al momento la Carta d’identità elettronica, posseduta da 32 milioni di italiani, è ancora a pagamento (16,79 euro, più 5 euro circa) e difficile da utilizzare per accedere ai servizi online della Pubblica amministrazione (occorrono Pin, Puk e un apposito lettore o uno smartphone dotato di interfaccia Nfc). Ma si guarda con attenzione al cantiere aperto in Europa, dove si studia un digital identity wallet (Eudi) in cui sarà possibile inserire le credenziali di tutti i cittadini Ue. Il 10 febbraio scorso la Commissione ha pubblicato la prima versione di un toolbox comune per implementare il wallet. L’auspicio è fissare gli standard comuni per garantire un «robusto» quadro europeo.