I punti chiaveAscolta la versione audio dell’articolo3′ di letturaUno dei più amati registi del cinema asiatico contemporaneo è tornato alla Mostra del Cinema di Venezia: Shin’ya Tsukamoto, autore giapponese che è stato numerose volte in programma al Lido, ha presentato in cartellone il suo nuovo lungometraggio, “Shadow of Fire”.Inserito nella sezione Orizzonti, il film è ambientato in un mercato nero che ricomincia a prendere vita dopo la devastazione della Seconda guerra mondiale. In un piccolo ristorante giapponese quasi completamente distrutto dal fuoco, una donna si guadagna da vivere vendendo il proprio corpo. Un orfano di guerra entra furtivamente nella casa di lei per rubare, mentre un giovane soldato arriva come cliente: i tre inizieranno una strana vita insieme che, però, non potrà durare troppo a lungo.Tsukamoto torna sul tema del conflitto bellico dopo “Fires on the Plain” (2014) per dare vita a un lungometraggio che parla di traumi, desideri di vendetta, ombre che si annidano all’interno della mente di chi è riuscito, nonostante tutto, a sopravvivere a ciò che è successo.Loading…Fin dai primi minuti, il regista giapponese ci trasporta in un piccolo spazio claustrofobico e inquietante, segnato dalla disperazione di una donna costretta a prostituirsi e mostrato da Tsukamoto con il suo classico stile dinamico e le scelte fotografiche che l’hanno reso grande in pellicole come “A Snake of June” (2002) e “Vital” (2004), entrambe presentate a Venezia così come il toccante “Kotoko” (2011), con cui aveva vinto il premio di miglior film della sezione Orizzonti: chissà che anche quest’anno non possa tornare a casa con un riconoscimento.Uno spiraglio di speranzaAll’interno di una pellicola tanto dura, c’è uno spiraglio di speranza rappresentato per la protagonista dal piccolo orfano di cui può prendersi cura: il bambino partirà per un viaggio che darà vita a un’altra parte della pellicola, decisamente diversa per ambientazione e scelte narrativa.Il passaggio tra i vari capitoli di questa storia è fin troppo netto e si ha quasi l’impressione di assistere a due film diversi, seppur Tsukamoto faccia rientrare tutte le azioni in un contesto coerente, nel quale si conferma particolarmente bravo a dirigere e raccontare i bambini.Con l’approssimarsi della conclusione “Shadow of Fire” sembra perdere un po’ di ritmo, ma la causa sta soprattutto nella sua partenza fortissima, ricca di sequenze iniziali estremamente coinvolgenti pur nella loro durezza.Grazie anche al puntuale lavoro sul sonoro, il film è un altro significativo tassello della carriera di un regista di culto che non lascia mai indifferenti.EneaIn concorso ha trovato invece spazio “Enea”, la seconda prova dietro la macchina da presa di Pietro Castellitto dopo l’esordio con “I predatori”.Il regista interpreta anche il protagonista Enea, un ragazzo di famiglia ricca che, insieme all’amico Valentino, finisce in un mondo immerso dalla malavita, tra spaccio di droga e feste sfrenate.«Enea è un gangster movie senza la parte gangster. Una storia di genere senza il genere»: Castellitto ha presentato così la sua opera seconda, un film che parla soprattutto di amicizia e sentimenti in un mondo rappresentato in maniera disperata e decadente.Come nel suo esordio, anche in “Enea” si racconta l’ipocrisia di certi ambienti borghesi, ma in questo caso la sceneggiatura è ancor più arrabbiata, seppur non sempre incisiva al punto giusto.Si alternano momenti profondi ad altri più grossolani e superficiali in questa pellicola altalenante ma coraggiosa: Castellitto crea una messinscena ambiziosa e poco convenzionale, mostrando un certo talento ma rimanendo anche vittima di troppe scelte estetiche autocompiaciute e poco raffinate.Il gioco vale solo in parte la candela, ma indubbiamente resta un lungometraggio che vuole comunicare tanto e che finirà per dare adito a diverse discussioni.Si sente forte anche una traccia autobiografica in questa pellicola in cui Pietro Castellitto ha voluto nel cast suo papà Sergio e anche il fratello minore Cesare