Ascolta la versione audio dell’articolo3′ di letturaParmacotto si espande negli Stati Uniti. Dopo sette mesi di trattative, il gruppo guidato da Andrea Schivazappa annuncia l’acquisizione della New England Charcuterie di Boston, un salumificio da 1.300 metri quadrati e dieci milioni di fatturato che produce salumi di alta qualità. Lo stabilimento verrà presto ampliato, per ospitare anche le operazioni di affettamento dei prosciutti in arrivo direttamente da Parma, e che sul mercato americano verranno venduti direttamente in vaschetta. A Boston continuerà però anche la produzione di salumi, con un occhio di riguardo per le preferenze dei palati americani: pare che Oltreoceano siano apprezzati i sapori più forti e aromi inusuali per la tradizione italiana, per esempio l’aggiunta di tequila.«Oggi i consumatori americani valgono il 25% del nostro fatturato – racconta l’ad Schivazappa – ma nei prossimi tre anni puntiamo a far salire questa quota al 45%». Parmacotto dunque scommette forte sul mercato a stelle e strisce. Qui già nel 2019 il gruppo – rinato dalle ceneri del concordato preventivo e forte della nuova proprietà Zaccanti – aveva acquistato il distributore Cibo Italia. «La nostra espansione fu bloccata dallo stop imposto dal Covid – racconta Schivazappa – ma la penetrazione del nostro marchio negli Usa non si è mai fermata, sia attraverso i grandi player della distribuzione che attraverso i retailer regionali e i food service». Nei piani di Schivazappa c’è anche quello di aprire a New York, tra la fine del 2024 e l’inizio del 2025, il primo ristorante a marchio Parmacotto.Loading…Il focus sull’America è forse la risposta al campo minato disegnato dell’inflazione in Italia? «Il progetto Usa è partito nel 2019, ben prima della corsa dei prezzi – dice Schivazappa – è vero che in Italia i consumi stanno rallentando ma noi, in controtendenza con i dati nazionali, stiamo aumentando le vendite a volume e puntiamo a chiudere il 2023 con 150 milioni di euro di fatturato, 20 in più dell’anno scorso».Detto questo, l’inflazione è senza dubbio uno degli elementi di preoccupazione sul tavolo dell’amministratore delegato della Parmacotto. Che però ha le idee molto chiare in proposito, campagne per il trimestre anti-inflazione incluse: «In Italia c’è un approccio da slogan ma nessuno vuole davvero affrontare il problema. Il fatto è che la totalità dell’inflazione se l’è presa in carico l’industria. Il 2022, per noi, è stato devastante dal punto di vista dei costi: alla Parmacotto, per colpa dell’inflazione, l’anno scorso abbiamo visto l’Ebitda dimezzarsi. Tra marzo e dicembre, a bilancio risulta nero su bianco un aumento dei costi di 7,5 milioni di euro, tra caro-energia, caro-trasporti e materia prima alle stelle. Eppure, sul prezzo di vendita dei miei salumi, alla fine io non ho riversato un euro di più rispetto a questi aumenti». La responsabilità dei rincari, insomma, per Schivazappa va cercata altrove. «Alla Parmacotto – dice – oggi non sono in grado di abbassare di un centesimo il mio prezzo di vendita. E noi non distribuiamo dividendi».Tra chi punta sull’export, soprattutto verso Paesi extra-Ue come gli Stati Uniti, la Gran Bretagna o la Svizzera – tutti mercati su cui scommette Parmacotto – in questi giorni sta crescendo la preoccupazione per la peste suina: se dovesse dilagare tra gli allevamenti lombardi ed emiliani, che sono il fulcro della produzione di materia prima nazionale, le esportazioni che rischiano di fermarsi, stando alla normativa, sono proprio quello verso i Paesi terzi. Ma su questo fronte l’ad di Parmacotto si sente tranquillo. «Le autorità competenti stanno intervenendo in maniera corretta per arginare al meglio il fenomeno – dice – da parte nostra, abbiamo il vantaggio che le limitazioni alle esportazioni per legge non si applicano alle carni cotte e ai salumi oltre una certo tempo di stagionatura. E i nostri prodotti rientrano in questi casi».