Ascolta la versione audio dell’articolo4′ di letturaAvevamo stabilito un itinerario a mezza costa nel tempo e nello spazio, tra Lunigiana e Apuane, da Fosdinovo a Castelnuovo Magra, poi Ortonovo, Nicola e infine Colonnata: da Dante a Michelangelo per riassumere l’arte, dai guelfi del vescovo di Luni ai nemici Malaspina, per evocare le lotte di un Medioevo che ha lasciato qui monumenti insigni.Uscendo dal Medioevo, poi, volevamo vedere a Santa Maria Maddalena di Castelnuovo la gremitissima Crocefissione di Pieter Bruegel il Giovane (dove mai si trova un Calvario con quattro croci? Sapevo dei quattro legni di cui è composta la sacra Croce: palma, cedro, cipresso, olivo, secondo i Padri della Chiesa e secondo L’ultima scuola di sottigliezza cristiana, fatta nel Calvario da Giesà nella catedra della Croce, 1651, di Giovanni Gregorio di Gesù Maria, ma non immaginavo che i quattro legni fossero diventati quattro croci); tuttavia – secondo lo stile dei tempi – essa è, restaurata e ben esposta, dal 16 giugno al magnifico Museo Amedeo Lia di La Spezia.Loading…Puniti nel voler cercare l’arte nel suo luogo (chissà dove finirà la Madonna del Parto di Monterchi?), siamo però stati ricompensati da una magnifica lapide tombale, tolta dal pavimento della chiesa e ricollocata nella parete dell’ingresso con questa iscrizione (che riassumo): «Questo volto, che il calpestio offendeva, intatto alla sua gloria la famiglia pose». Ecco: per secoli il transito terreno come prova, secondo il versetto di Isaia: «Et Dominus voluit conterere eum infirmitate» (LIII, 10: «E Dio volle calpestarlo nella sofferenza»), aveva compimento nel «conterere vultum» inflitto alle lapidi sepolcrali nei pavimenti delle chiese, sì che i religiosi e fedeli passando quotidianamente su quel volto lo spianassero, sino a renderlo irriconoscibile, sino a cancellarne i lineamenti. E qui una famiglia si ribella e rivuole per sé quel volto: avrebbe dovuto passare di qui Max Picard che già nel 1921 aveva scritto quel mirabile saggio che è L’ultimo uomo, la scomparsa della fattezza umana dalla società contemporanea, sostituita da cumuli di pietrame che lo inscatolano e fili elettrici che lo dirigono. Ne usciamo consolati.Ma cimento ben più arduo ci attende nel cammino tra le cave di marmo statuario verso Colonnata: qui veniva Michelangelo a scegliere i suoi blocchi che fossero senza vena o difetto, a cominciare dal blocco per la Pietà vaticana: «Si è convenuto con mastro Michelangelo statuario fiorentino, che lo dicto maestro debia far una Pietà di marmo a sue spese, ciò è una Vergene Maria vestita, con Christo morto in braccio, grande quanto sia vno homo iusto» (contratto del 27 agosto 1498). Michelangelo si reca a Carrara e prende alloggio presso il “cavatore” «Francesco che fu di Giovannandrea de Pelliccia da Bargana», che lavorava nella cava del Polvaccio (detta poi di Michelangelo). Poi torna nel 1503, per le statue degli apostoli (il San Matteo, ora alla Galleria dell’Accademia) e poi soprattutto per gli immensi blocchi che dovranno servire al monumento funebre di Giulio II Della Rovere. Nel dicembre 1505 Michelangelo scrive: «Sia noto e manifesto a qualunche persona leggierà la presente scritta, com’io Michelagniolo di Lodovico Buonarroti, scultore fiorentino, alluogo e acottimo oggi questo dì dieci di dicembre nel mille cinque cento cinque, a Guido d’Antonio di Biagio e a Matteo di Cucarello da Carrara carrate sessanta di marmi all’uso di Charrara; ciò è dumila cinque cento libre la carrata».Sono blocchi e dimensioni enormi (800 chili ogni carrata), che testimoniano quanto Michelangelo fosse stretto a quella soda materia sin dall’infanzia, come scrive il Vasari nella Vita del grande fiorentino: «così come anche tirai dal latte della mia balia gli scarpegli e ’l mazzuolo con che io fo le figure».