“Il 2% del Pil in difesa è un dato acquisito da tutte le nazioni nella Nato e siamo rimasti tra i pochi a non averlo ancora raggiunto: questo è un tema sia politico, perché ci siamo impegnati a raggiungerlo, ma anche un problema della difesa italiana, perché in un periodo di questo tipo l’investimento per la difesa non lo fai solo perché fai parte di un’alleanza, ma perché la difesa e la deterrenza sono necessarie per garantire un futuro democratico, anche alla nostra nazione”. Lo ha detto il ministro della Difesa Guido Crosetto a Bruxelles, precisando che, al momento, la traiettoria della spesa militare in manovra è “decrescente”.
Crosetto ha poi ribadito che l’Unione Europea ha la sua responsabilità. “Se l’Ue non si rende conto che le regole burocratiche non possono impedire alle nazioni di difendersi allora vuole dire che fa una scelta politica, che ritiene più rilevante rispettare regole burocratiche date in tempo di pace che la difesa nazionale ed europea”, ha spiegato.
“Col nuovo patto di stabilità è cambiato poco, altrimenti non avremmo difficoltà ad aumentare gli investimenti. Ma non si tratta solo di questo, non entro nel tecnico ma c’è un insieme di regole che rende difficile la spesa nella difesa e in questo momento non è accettabile”.
“I Paesi della Nato sostengono la resistenza ucraina contro la Russia da 1000 giorni e continueranno a farlo: con Zelensky si è parlato del modo migliore per arrivare alla fine della guerra, conservando l’integrità territoriale con il minor spargimento di sangue possibile”, ha sottolineato il ministro aggiungendo che “nessuno vuole che il conflitto prosegua, ma non si può accettare che una nazione ne invada un’altra e che la comunità internazionale si giri dall’altra parte”.
Rispondendo poi a una domanda sui tempi per la consegna del carro armato frutto della joint venture fra Leonardo e Rheinmetall, Crosetto ha spiegato che “il tempo che serve è quello che rimane: il tempo è una variabile rilevante per vincere le sfide, che ci contrappongono ad attori nazionali che credono che le democrazie sono un problema. L’industria della difesa deve scendere dal piedistallo in cui è stata per troppi anni e iniziare a produrre come le altre aziende del mercato, dunque con costi più bassi possibili e con tempistiche compatibili con le necessità”.
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