La nuova Via della Seta, con la cooperazione siglata dal governo Conte che scade nel 2024 ed è a forte rischio, è stato il piatto forte del confronto che c’è stato a Milano tra il capo del dipartimento per le relazioni internazionali del Partito comunista cinese, Liu Jianchao, e una comunità di imprenditori italiani, alla presenza del presidente della Fondazione Italia Cina, Mario Boselli.
L’incontroUna nota del Pcc entra nel merito del confronto di Liu Jianchao con gli imprenditori italiani, partendo dalla “lunga storia di amicizia tra Italia e Cina” e dalla “cooperazione economica e commerciale che ha strettamente legato i due paesi”. La parte cinese afferma di “apprezzare il ruolo positivo svolto dalla Fondazione Italia Cina e dagli imprenditori italiani nello sviluppo di una cooperazione pragmatica tra i due Paesi”. Definisce “corretta” la cooperazione sancita dalla nuova Via della Seta, all’insegna di “un percorso strategico, lungimirante e reciprocamente vantaggioso”. Gli imprenditori italiani, secondo la ricostruzione cinese, evidenziano come la Cina “non sia solo un enorme mercato per le imprese italiane per investire e sviluppare il proprio business, ma anche una base strategica per le imprese italiane per entrare in Asia”. Come, al contrario, l’Italia “è anche una porta d’ingresso per le imprese cinesi in Europa”. In questa ottica, aggiunge la nota cinese, “gli imprenditori italiani sostengono fermamente Italia e Cina nel rinnovo del documento di cooperazione ‘Belt and Road'”.La nuova Via della SetaL’Italia è l’unico paese del G-7 che, con il governo Conte nel 2019, ha firmato con la Cina la Belt and Road Initiative (Bri). L’accordo scade nel 2024 e le possibilità che il Governo Meloni lo rinnovi, almeno alle stesse condizioni, sono poche. Anche perché il rapporto con la Cina è considerato un problema sostanziale in riferimento alla collocazione atlantica dell’Italia e al rapporto con gli Stati Uniti. I porti, una questione europeaQuando si parla della penetrazione cinese in Europa, e in Italia, si finisce a parlare di porti. Eloquente la reazione del ministro per le Imprese e il Made in Italy Adolfo Urso, “Non ci consegneremo nelle mani cinesi”, sulla possibilità che anche la gestione del Porto di Trieste potesse passare in mani cinesi come conseguenza diretta delle scelte sul Porto di Amburgo, dove la compagnia statale cinese Cosco ha acquisito il 24,9% del terminal container di Tollerort. Il legame tra Amburgo e Trieste è anche societario. La compagnia di logistica Hamburger Hafen und Logistik AG (Hhla), partecipata dall’ente amministrativo federale della città tedesca di Amburgo, detiene il 50,01% della società triestina Piattaforma logistica Trieste. A preoccupare chi osteggia la penetrazione cinese è in particolare l’espansione continua di Cosco in Europa: controlla, insieme all’altra società cinese Cmg, già circa il 10% del traffico marittimo attraverso i porti europei. Possono contare su partecipazioni di maggioranza nel porto greco del Pireo e in quelli spagnoli di Valencia e Bilbao, oltre a quote negli scali di Rotterdam nei Paesi Bassi e di Vado Ligure, in Italia, dove la partecipazione complessiva cinese con Cosco (40%) e Quingdao Port international (9,9%) sfiora il 50%.