Ascolta la versione audio dell’articolo4′ di letturaUn Simulation Center all’interno di un nuovo edificio di circa 10mila metri quadri dove si simulerà l’ambiente domestico del paziente a casa, la sala operatoria, la presala, la terapia intensiva. Obiettivo: usando manichini fortemente tecnologici consentire ai giovani medici di avere una preparazione migliore quando andranno a visitare e curare i “veri” pazienti”. Ad annunciare il progetto del Campus Biomedico è Andrea Rossi, ad e dg dell’Università Campus Bio-Medico di Roma. Nel corso di un’intervista con DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e di Digit’Ed, nuovo gruppo attivo nella formazione e nel digital learning), Rossi fa il punto della situazione sull’uso dell’Ai nella sanità in Italia che ha «un grandissimo potenziale» ed è partita tra i primi, ma occorrono investimenti e attenzione per arrivare anche al traguardo tra i primi. Per le operazioni a distanza non ci vorrà molto tempo: «Al di là di qualche esperimento già avvenuto, i nostri chirurghi stanno cominciando a lavorare con le università americane».Come si sta attrezzando l’università per adeguarsi alle prospettive dell’uso dell’intelligenza artificiale nella medicina? Il tema della medicina di precisione, dei big data applicati alla medicina è estremamente attuale, sta cambiando i paradigmi della sanità; credo che ne vedremo gli effetti nei prossimi anni. Come Università Campus Bio-Medico di Roma siamo molto attenti a considerare il contesto che cambia già nella fase della formazione. Quando i medici entrano nel mercato della sanità devono essere all’altezza e aggiornati alle esigenze. Curiamo inoltre l’interdisciplinarità perché medici e ingegneri possano lavorare assieme. A questo proposito, l’anno scorso abbiamo avviato un corso di laurea Med-Tech, ovvero un corso di medicina e chirurgia in inglese che ha anche 60 crediti di ingegneria biomedica. Abbiamo un corso di laurea in ingegneria dei sistemi intelligenti, pensato insieme con importanti aziende del settore e la collaborazione di Unindustria con l’obiettivo di fornire il più possibile le figure professionali che le imprese cercano ma ancora non trovano facilmente: data scientist, data engineer, data architect. A livello pratico, i nostri gruppi di ricerca hanno sviluppato dispositivi indossabili che permettono di misurare i parametri vitali in continuità, mettere in evidenza le situazioni di difficoltà (come le cadute), fornire dati che possono essere utilizzati per capire come dosare al meglio la cura e personalizzarla. Questo è un esempio di innovazione che, da qui a breve, diventerà quotidianità.Parlando di chirurgia, che è una delle branche più promettenti per l’uso dell’intelligenza artificiale, quando le operazioni a distanza saranno una realtà diffusa? Non siamo lontani da quel momento. Al di là di qualche esperimento già avvenuto, i nostri chirurghi stanno cominciando a lavorare con le università americane, realizzando interventi che prevedono collegamenti a distanza in occasione dei quali le mani del chirurgo possono guidare robot situati a migliaia di chilometri. Credo che le operazioni a distanza saranno di grande beneficio per tutta la popolazione perché si potrà usufruire in ogni parte del mondo di competenze ultra-specialistiche. Un nuovo progetto che ho piacere di annunciare è quello per il Simulation Center di ultima generazione all’interno di un nuovo edificio di circa 10mila metri quadri dove si simulerà l’ambiente domestico del paziente a casa, la sala operatoria, la presala, la terapia intensiva. In questo spazio vogliamo mettere a disposizione dei nostri medici e docenti, anche giovani, tutte le tecnologie di ultima generazione per sperimentare le applicazioni non sul paziente ma su manichini fortemente tecnologici, che grazie all’AI e al patrimonio di dati sono programmati per simulare il comportamento umano. Quando questi giovani medici arriveranno a visitare e curare “veri” pazienti, potranno usufruire di una preparazione molto più ampia, di una sicurezza maggiore, di una capacità di apprendimento molto più alta.Veniamo ai rischi dell’uso dell’intelligenza artificiale: si arriverà a sostituire il medico con la macchina con tutte le conseguenze legali, giuridiche ed etiche che ne deriverebbero? Innanzitutto, ci tengo a precisare che l’Università Campus Bio-Medico di Roma ha come mission “La scienza per l’uomo”. Siamo un’università molto attenta alle tecnologie, ma allo stesso tempo per noi è fondamentale la centralità della persona. In quest’ottica il protagonista è sempre e solo il medico, il professionista. La speranza, dal punto di vista della nostra istituzione, è che ci sia una regolamentazione che metta in primo piano il professionista che può avere a disposizione una serie di dati. E’, ad esempio, utile che la tecnologia possa indicare che statisticamente in 99 pazienti su 100 si è determinata una certa evoluzione. Il medico utilizza queste informazioni per determinare la cura, ma poi c’è sempre la valutazione dell’uomo, del professionista che deve essere in grado di poter intercettare quel caso su 100 che ha un’evoluzione diversa. Al medico che si distacchi dalla casistica mostrata dall’AI, e poi l’evoluzione della malattia non è buona, sarà attribuita una responsabilità maggiore? Non credo che cambi molto rispetto a quanto avviene anche oggi. Il medico che fa una diagnosi ha una serie di strumenti diagnostici a disposizione e, sulla base dei risultati ottenuti, prende delle decisioni e stabilisce dei percorsi terapeutici, incorrendo in alcune responsabilità. Credo che un domani, di fronte a una maggiore mole di dati che fornisce l’Ai, non sarà molto diverso.Dal suo punto di osservazione l’Italia come si posiziona nell’uso dell’Ai in medicina rispetto agli altri Paesi? Ritengo che l’Italia abbia un altissimo potenziale, ma tutto è legato alla futura evoluzione della ricerca; purtroppo, molti ricercatori bravi vanno all’estero, e molto dipenderà da come riusciremo ad attrarre i talenti. Servono, quindi, un’accelerazione e investimenti per poter tener il passo degli altri. Usando una metafora, l’Italia è partita tra i primi nella corsa, ma non è detto che arriverà tra i primi al traguardo. In caso di una nuova pandemia, saremo più attrezzati grazie all’uso dell’Ai e dei big data? In generale, come sempre avviene, quando si supera un’esperienza drammatica come il Covid, totalmente inaspettata, è evidente che il sistema sarà molto più pronto. In particolare, il sistema laziale è stato eccezionale nella risposta al virus. Penso che l’Ai e tutti i dati e le esperienze maturate potrebbero facilitarci molto nell’affrontare un’altra eventuale pandemia. Detto ciò, credo che, al di là dell’Ai, tanta differenza l’hanno fatta e la fanno le persone e le organizzazioni. Abbiamo constatato come l’unità del sistema, la collaborazione e la passione dei professionisti siano state fondamentali nel potenziale la velocità con cui ogni struttura è in grado di rispondere.Loading…