Ascolta la versione audio dell’articolo3′ di letturaGianfranco Poggi, che si è spento giovedì, era lo stereotipo dell’accademico distratto. Capitava di incontrarlo rasato piuttosto parzialmente. O con la camicia fuori posto, con la giacca abbottonata male. Era però in grado di citare a memoria interi passaggi delle opere complete di Max Weber. Di rimandarti a uno scritto appena apparso su una rivista coreana. Capitava di vederlo consultare gli statuti, in lingua originale, di qualche dimenticata città anseatica come se fosse la cosa più normale del mondo. Era soprattutto una vera e propria rarità, un accademico modesto. Nulla nei suoi comportamenti quotidiani faceva trasparire la sua straordinaria carriera intellettuale e accademica, la quantità quasi assurda di premi, riconoscimenti e visiting fellowships in giro per il mondo. Se molti accademici fanno cose normali pensando che siano straordinarie, Gianfranco ha vissuto una vita straordinaria pensando che fosse normale. Nato in una numerosa famiglia cattolica che ha sfornato un numero impressionante di intellettuali, si trovò giovane coinvolto nella difficile rinascita delle scienze sociali italiane. Ha partecipato ad alcune delle prime indagini sociali condotte in Italia e, soprattutto, ha svolto un ruolo fondamentale nell’introdurre la sociologia, e soprattutto la teoria sociale, in Italia. I primi saggi pubblicati su molti autori oggi (ma non allora) considerati classici portano il suo nome. Professore ad Edimburgo, e poi a Sidney, e poi in Virginia, e poi all’Istituto Universitario Europeo, Poggi è ritornato in Italia, a Trento, solo alla fine della sua carriera.I suoi libri, tutti tradotti in svariate lingue, ruotano su due temi principali, per i quali Poggi resta tuttora l’autore di riferimento.Il primo è la sociologia politica dello stato. Contro una frequente tendenza a dissolvere l’aspetto organizzato, corporato, del potere in una varietà di congegni più o meno impalpabili, Poggi ha dimostrato che non è possibile capire la società contemporanea se si ignora la centralità (e l’originalità) dello sviluppo dello stato occidentale moderno. Tema a cui ha accompagnato la sua costante preoccupazione per lo stato di diritto, visto non come un dato scontato bensì come il fragile prodotto di una serie di circostanze storiche forse irripetibili. Fosse stato preso sul serio, molto cicaleccio sulla globalizzazione ci sarebbe stato risparmiato. Il secondo, e forse più importante, è la sua costante rivendicazione della necessità, per qualunque studioso serio, del confronto coi ‘classici’ del pensiero sociale, quello straordinario insieme di menti (soprattutto Durkheim, Marx, Simmel e Weber) che hanno definito l’orizzonte delle scienze sociali. Secondo Poggi, le scienze sociali hanno sicuramente una dimensione cumulativa, dove la conoscenza di oggi supera e sostituisce la precedente. Ma hanno anche un insieme fondante di preoccupazioni e di idee (e di ambiguità, e di limiti…) che quegli autori hanno articolato in modo insuperato. Ai tanti che sostengono che leggere i classici sia un’attività inutile se non sbagliata, Poggi ha risposto, in uno dei suoi saggi giustamente più celebri, «Lego quia inutile». Se solo all’Anvur leggessero Poggi.Per sapere chi fosse Gianfranco Poggi, può bastare un episodio. Non troppi anni fa, per diventare docente universitario in Italia bisognava dare una lezione al cospetto di una commissione. Un candidato, più per ignoranza che per temerità, dedicò una parte della lezione a contestare un’interpretazione che, molti anni prima, era stata resa famosa proprio dal membro più autorevole di quella commissione. Come prevedibile, ne nacque un dibattito piuttosto serrato, di quelli in cui non si fanno prigionieri. Esaurito il tempo, il tapino lasciò la stanza immerso in fosche previsioni. Prima di scoprire di avere passato la prova. Il giudizio più caloroso era stato scritto proprio dal commissario che aveva (inconsapevolmente) sfidato. Qualche giorno dopo, lo stesso (ex-) commissario chiamò l'(ex) tapino per proporgli di scrivere insieme un libro, un evento più unico che raro nella sua bibliografia. Sembra un maldestro adattamento accademico di Casablanca. E invece è una storia vera, come posso certificare visto che quel commissario era Gianfranco Poggi e l'(ormai ex-) tapino è chi qui lo ricorda.Loading…